Pochi sanno che la normativa relativa all’acqua minerale è diversa da quella che regola l’acqua potabile. Per cui, formalmente, la minerale non può essere definita “acqua potabile”. Ovviamente questo non significa che ciò che è contenuto in una bottiglia non è “buono da bere”. Numerose acque minerali, grazie alla particolare legislazione di cui godono, possono contenere sostanze potenzialmente pericolose per la salute ed elementi salini in concentrazione cosi elevate che, se sottoposte alle analisi di laboratorio come l’acqua di rubinetto, il responso potrebbe essere: “acqua non potabile” oppure, più precisamente, “acqua non destinata al consumo umano”.

Un esempio: in Piemonte, dalle parti di Biella, imbottigliano un’acqua con un residuo fisso (la quantità di sali minerali contenuta in un litro) di appena 15 milligrammi/litro. Bene, nessun acquedotto potrebbe distribuire quell’acqua perché “non potabile”. La legge infatti stabilisce un minimo di 50 e un massimo di 1.500 milligrammi/litro per l’acqua di rubinetto. «E’ una delle particolarità che contraddistingue un settore per molti anni nelle mani di imprenditori che hanno saputo approfittare scientemente di una normativa nazionale, diciamo, benevola con i produttori e spesso incurante degli interessi dei consumatori», sostiene Pasquale Merlino, chimico e autore di un esposto alla Commissione europea che, nel 2000, ha dato l’avvio a una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia proprio per la mancata tutela della salute. Era il 2 luglio 1999 e Merlino segnalava che qualcosa non quadrava: 19 sostanze tossiche potevano essere presenti nella minerale in misura superiore rispetto ai limiti previsti per l’acqua di rubinetto. Una situazione in parte corretta con un decreto emanato dal nostro ministero della Salute nel maggio del 2000.

Di Giuseppe Altamore

Giornalista e saggista italiano, direttore del mensile Benessere. La salute con l'anima

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