Quante volte apriamo il rubinetto di casa senza pensarci più di tanto? Eppure, per garantire quel sorso dissetante o per soddisfare tutti i nostri bisogni  primari c’è una vera e propria organizzazione industriale che permette ogni giorno di erogare oltre 500 mila litri di acqua. Una preziosa linfa vitale che scorre ininterrottamente lungo 6.531 chilometri di condotte e che disseta oltre 2 milioni e mezzo di abitanti della Città metropolitana di Milano, la vecchia provincia di Milano. Stiamo parlando del Consorzio acqua potabile (Cap) che molti ricordano solo quando arriva la bolletta. Un’azienda pubblica (società in house) quotata in Borsa i cui azionisti sono i Comuni, che controlla 724 pozzi, 301 impianti di potabilizzazione e 200 Case dell’acqua. Con i suoi 900 addetti, il Cap si occupa anche della depurazione e delle fognature, coerentemente con la normativa che  già trent’anni fa ha posto le basi del moderno acquedotto che si definisce non a caso ciclo idrico integrato: dalla fonte fino alla depurazione finale, dopo l’utilizzo nelle nostre case, rispettando l’impegno a ridare all’ambiente la risorsa nelle migliori condizioni, nel segno della sostenibilità.

Nonostante l’impegno imponente nel garantire un servizio pubblico fondamentale, la stragrande maggioranza dei cittadini non si fida dell’acqua di rubinetto e sceglie di rifornirsi nei supermercati spendendo cento volte di più. Perché? È giustificata la diffidenza degli appassionati di bollicine nei confronti della tanto bistrattata acqua potabile? Vediamo di capire che cosa accade prima che il prezioso liquido possa sgorgare dal rubinetto di casa.

Una visita nel Centro di ricerca Salazzurra

È un gelido pomeriggio di febbraio. Il Centro Ricerche Salazzurra, che ha mantenuto il nome in onore della storica balera degli anni ‘50 all’interno del parco Idroscalo a Milano, ci apre le sue porte per svelarci i misteri che si nascondono nella limpidezza, a volte sospetta,  di un bicchier d’acqua. Per cominciare, una buona notizia: «Quasi la metà dell’acqua distribuita (45%) non ha bisogno di alcun trattamento», esordisce Desdemona Oliva, direttrice ricerca e sviluppo del Cap che ci accompagna in un’esclusiva visita guidata tra monitor, alambicchi, provette, incubatori e microscopi. In questi laboratori vengono analizzati 20 mila campioni all’anno alla ricerca di 80 mila parametri. Una selva di numeri espressi in milligrammi per i sali e le sostanze indesiderabili, in microgrammi (parti per milione) per gli inquinanti più per pericolosi per la nostra salute. Un campionario di veleni ben identificati dal D.lgs n. 18 del 23 febbraio 2023. «Noi siamo fortunati», ci rassicura la dottoressa Oliva, «perché non utilizziamo acque di superficie ma peschiamo in pozzi profondi che scendono fino a 150 metri». Eventuali criticità possono essere individuate e circoscritte, rassicura la responsabile del Centro Ricerche Salazzurra.

Arriviamo nel laboratorio di biologia molecolare. Qui ogni giorno si studiano i batteri che potrebbero proliferare, come i ferrobatteri o la legionella. L’attenzione ai possibili rischi è maniacale, grazie a una normativa sempre più severa. «Vede, noi non commercializziamo un bene, un prodotto», chiarisce la dottoressa Oliva. «Il nostro compito è elargire un servizio pubblico nel rispetto della legge, senza dover badare al profitto».

Tra le apparecchiature spicca uno scintilligrado utilizzato per rilevare la radioattività eventualmente presente nell’acqua. Occhi puntati sugli inquinanti in grado di interferire con il sistema endocrino e che possono causare tumori. Come i Pfas,sostanze perfluoroalchiliche (in inglese perfluorinated alkylated substances) impiegate in più di quattromila prodotti dell’industria chimica. «Se per caso dovessimo rinvenire queste sostanze oltre i limiti di legge, il pozzo viene chiuso senza alcun indugio», precisa la dottoressa Oliva. «Noi abbiamo anticipato le direttive europee, ricercando quelle sostanze che successivamente sono state indicate nella normativa vigente. Attualmente sono 178 i parametri osservati e tenuti sotto controllo». Parametri che solo a nominarli incutono un certo timore: idrocarburi, antiparassitari, solventi, metalli pesanti e poi microorganismi patogeni. Sostanze che sono dettagliate nel D.lgs n. 18 del 23 febbraio 2023, allegato 1 (articolo 3) con i rispettivi limiti ammessi dalla normativa.

Guardando al futuro, il Cap ha già pronto un piano per affrontare il cambiamento climatico fino al 2050 grazie all’impiego di una rete telematica che sfrutta l’intelligenza artificiale. «Le sfide da affrontare sono tante», conclude la dottoressa Oliva, «nel 2022 abbiamo dovuto fare i conti con la siccità che ha fatto abbassare le quote piezometriche dei pozzi che ha causato qualche criticità nel sistema di filtraggio».
Garantire un servizio di buona qualità non è facile come bere un bicchier d’acqua.

Di Giuseppe Altamore

Giornalista e saggista italiano, direttore del mensile Benessere. La salute con l'anima

2 pensiero su “Provincia di Milano, che acqua beviamo?”

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